PENSIERO LIBERO CONTRO FEDE ASININA Credente nella laicità della ragione, Bruno sa che gli uomini saranno liberi se sapranno sgombrare il campo dai confessionalismi, utili al governo dei popoli “rozzi” e “ignoranti”; se sapranno uscire dallo stadio della “fede asinina” per esercitare responsabilmente la propria individuale e civile dimensione etica.
RIFIUTA I CONFORTI RELIGIOSI e il crocefisso, con la lingua in giova - serrata da una morsa perché non possa parlare - viene condotto in piazza Campo de' Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere.

17 Febbraio 1600

8 Febbraio 1600

Nel “De gli eroici furori”, Bruno individua tre specie di passioni umane: quella per la vita speculativa, volta alla conoscenza; quella per la vita pratica e attiva; quella per la vita oziosa. Le due ultime tendenze sono espressione di un «furore basso». Al contrario, il desiderio di una vita volta alla contemplazione è l'espressione di un «furore eroico», con il quale l'anima, «rapita sopra l'orizzonte de gli affetti naturali [...] vinta da gli alti pensieri, come morta al corpo, aspira ad alto». L’eroico furore si raggiunge non con atteggiamenti devozionali, con «aprir gli occhi al cielo, alzar alto le mani» ma, al contrario, con il «venir al più intimo di sé … ». Una ricerca che Bruno assimila a una caccia, non la comune caccia ove il cacciatore ricerca e cattura le prede, ma quella in cui il cacciatore diviene esso stesso preda, come Atteone che, avendo visto la bellezza di Diana, si è fatto preda dei cani, i «pensieri de cose divine», che lo divorano «facendolo morto al volgo, alla moltitudine, sciolto dalli nodi de li perturbati sensi, libero dal carnal carcere della materia, onde più non vegga come per forami e per foreste la sua Diana ma, avendo gittate le muraglie a terra, è tutto occhio a l'aspetto de tutto l'orizonte. Di sorte che tutto vede come uno, non vede più distinzioni e numeri, che [...] fanno vedere e apprendere in confusione. Vede il fonte de tutti numeri, de tutte specie, de tutte ragioni, che è la monade, vera essenza de l'essere de tutti; e se no la vede in sua essenza, in absoluta luce, la vede ne la sua genitura, che gli è simile, che è la sua imagine: perché dalla monade che è la divinitade, procede questa monade che è la natura, l'universo, il mondo».
Il pensiero di Giordano Bruno non può essere scisso dalla sua vicenda personale, dalla sua tragica fine. La santa inquisizione chiedeva a Bruno, per non mandarlo al rogo, di rinnegare le proprie idee; dal momento che Bruno non credeva più in un Dio di giustizia, distributore supremo di pene e di premi nell'aldilà, perchè sopportare tanti patimenti soltanto per difendere la propria verità? Rifiutandosi di rinnegare le proprie idee, lui, si fa interprete di un nuovo pensiero: la dignità dell'uomo, la sua nobiltà, il suo significato, dipendono dal suo agire; il premio dell'azione è nel senso dell'azione, nella sua fecondità, in quello che l'azione dà per se stessa. Questa concezione della vita, che rompeva con una vecchia morale, non significava rifiuto di vincoli morali, bensì una morale nuova e più rigorosa intesa come responsabilità personale e profonda. Ma significa anche un'altra conquista: l'uomo restituito a se stesso, reso padrone della propria sorte; liberato da una falsa concezione del divino, l'uomo ha il coraggio di liberarsi da una visione primitiva del mondo. Entro questa visione del mondo, matura una precisa concezione morale che fa corpo con essa, e che si articola in due momenti: 1) La liberazione dal vizio e dalla superstizione (fra loro indissolubili); 2) La conquista della virtù e della verità, indissolubili anch'esse. La sua è un'etica di operosità, un elogio congiunto del lavoro manuale e di quello intellettuale: “l'uomo non contempli senza azione e non operi senza contemplazione”. Soprattutto negli “Eroici Furori” si accentua la visione dell'infinito e la celebrazione dello sforzo che l'uomo fa per oltrepassare "eroicamente" tutti i limiti e tutti i confini, che era un modo di sottolineare in forme poetiche l'inarrestabile slancio umano, oltre tutte le posizioni raggiunte, per la supremazia della verità.
Combattè l'antitesi tra spirito e materia, tra anima e corpo, tra sensi e intelletto, conciliando questi termini, creduti contraddittori, e sostenendo l'unità dello spirito e della materia, l'inseparabilità dell'anima e del corpo e l'identità del senso e dell'intelletto. Contro le antitesi tra causalità cosmica e volontà divina, tra necessità naturale e libertà morale, tra finalità trascendente e finalità immanente, tra bene e male, si sforzo di conciliare tutte queste antinomie, riportando i contrari all'unità assoluta, dove tutte le differenze restano eliminate. Contro il dualismo tra Dio e la Natura, sostenne che Dio non è una causa esteriore al mondo, ma un artista interiore, un principio efficiente, informativo dal di dentro. La filosofia bruniana è una filosofia dell'eroismo, diretta a liberare gli uomini dalla paura: “quando la paura sia caduta dal nostro animo, noi siamo veramente uomini, parte consapevole, cioè, dell'infinito”.
Bruno, contro il dogmatismo aveva osato rivendicare il diritto di pensare liberamente! Questo il suo “delitto” imperdonabile, che gli costò carcere, tortura, rogo. Alla ignavia intellettuale e morale, Bruno contrappone il coraggio di pensare, il coraggio di verificare quanto si pensa, il coraggio di essere coerenti con le conclusioni del pensiero, trasformandolo in azione: tutte cose imperdonabili. Avversario delle dottrine comuni, non per essere dottrine e per esser comuni, ma perché false. “Dall’academie odiato … Travagliato, perché la moltitudine è contraria a chi si fa fuor di quella; e chi si pone in alto, si fa versaglio (bersaglio) a molti”: aveva scritto nel “De l'infinito, universo e mondi”. Bruno sarà continuamente in fuga dalle vendette dei pedanti, dalla persecuzione della “vorace lupa romana” (così definisce la Chiesa nell’Oratio consolatoria). Nel De monade Bruno scrive: “Pugnavi, multum est, ... Est aliquid prodisse tenus … Non timuisse mori, praelatam mortem animosam imbelli vitae”. (Ho lottato, è già tanto, … È già qualcosa essere arrivati fin qui: non aver avuto paura di morire, aver preferito coraggiosa morte a vita da imbecilli). Bruno si proclama: “risvegliatore delle anime dormienti, domatore dell’ignoranza presuntuosa e recalcitrante, proclamatore di una filantropia universale …; che non prende in considerazione la testa unta, la fronte segnata … ma … la cultura della mente e dell’anima …”
È la ragione umana che Bruno vuole riscattare dall’oppressione della perenne inferiorità, costruita sulla divisione tra un cielo superiore e una terra inferiore. Gli individui, fiduciosi nella ragione, nei sentimenti e nelle possibilità e capacità della loro azione, non più “ciechi”, non più “muti”, non più “zoppi”, non devono più temere. La “Cena delle ceneri” è un coinvolgente invito al coraggio di pensare: luce intellettuale che metta in discussione schemi e rapporti di potere consolidati. La Natura, la Vita è infinita trasformazione nel suo particolare caratterizzarsi fenomenico, perché è Essere Tutto, Unico Infinito nella costanza del suo autonomamente farsi, del suo Infinito divenire biologico e storico. È un’intuizione travolgente perché se nell’infinito niente è più determinato a priori, ogni cosa può essere ridefinita. Nella natura infinita ogni individuo è finalmente libero di progettare se stesso e la sua storia, perché tutti gli esseri umani sono “cooperanti dell’operante natura”, e quindi possono rimettere in discussione apparati ed ideologie. È un fatto inconciliabile con il totalitarismo religioso e con gli ordini economico-politicosociali da esso benedetti. Verrà ucciso, ma vuole con forza che del suo pensiero rimanga traccia. Per questo “preferisce morte ad una vita da imbecilli. Egli non rinuncia, insomma, alla libera ricerca intellettuale, perchè significherebbe divenire uno dei tanti “asini-pedanti” che: “Fermaro i passi, piegaro e dismisero le braccia, chiusero gli occhi, bandiro ogni propria attenzione e studio, riprovaro qualsiasi uman pensiero, riniegaro ogni sentimento naturale, ed infine si tennero asini”. 
EROICI FURORI
L'universo è un organismo unico, organicamente formato, con un preciso ordine che struttura ogni singola cosa e la connette con tutte le altre. Fondamento di quest'ordine sono gli Archetipi, principi eterni ed immutabili; ogni singola cosa è imitazione, immagine, ombra della realtà ideale che la regge. Rispecchiando in se stessa la struttura dell'universo, la mente umana, che ha in sé non gli Archetipi, ma le loro ombre, può raggiungere la vera conoscenza e il nesso che connette ogni cosa con tutte le altre, al di là della molteplicità degli elementi particolari e del loro mutare nel tempo. Nell’opera “Spaccio de la bestia trionfante”: le bestie trionfanti sono i segni delle costellazioni celesti, rappresentate da animali: occorre «spacciarle», cacciarle dal cielo in quanto rappresentanti vecchi vizi che è tempo di sostituire con moderne virtù, occorre una nuova serie di valori cui l'uomo moderno possa e debba fare riferimento.
DINNANZI AI CARDINALI INQUISITORI è costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di condanna a morte per rogo; si alza e ai giudici indirizza la storica frase:  «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» (Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla).
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DINNANZI AI CARDINALI INQUISITORI è costretto ad ascoltare inginocchiato la sentenza di condanna a morte per rogo; si alza e ai giudici indirizza la storica frase:   «Maiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiam» (Forse tremate più voi nel pronunciare questa sentenza che io nell'ascoltarla).

17 Febbraio 1600

RIFIUTA I CONFORTI RELIGIOSI e il crocefisso, con la lingua in giova - serrata da una morsa perché non possa parlare - viene condotto in piazza Campo de' Fiori, denudato, legato a un palo e arso vivo. Le sue ceneri saranno gettate nel Tevere.
L'universo è un organismo unico, organicamente formato, con un preciso ordine che struttura ogni singola cosa e la connette con tutte le altre. Fondamento di quest'ordine sono gli Archetipi, principi eterni ed immutabili; ogni singola cosa è imitazione, immagine, ombra della realtà ideale che la regge. Rispecchiando in se stessa la struttura dell'universo, la mente umana, che ha in sé non gli Archetipi, ma le loro ombre, può raggiungere la vera conoscenza e il nesso che connette ogni cosa con tutte le altre, al di là della molteplicità degli elementi particolari e del loro mutare nel tempo. Nell’opera “Spaccio de la bestia trionfante”: le bestie trionfanti sono i segni delle costellazioni celesti, rappresentate da animali: occorre «spacciarle», cacciarle dal cielo in quanto rappresentanti vecchi vizi che è tempo di sostituire con moderne virtù, occorre una nuova serie di valori cui l'uomo moderno possa e debba fare riferimento.
EROICI FURORI
Nel “De gli eroici furori”, Bruno individua tre specie di passioni umane: quella per la vita speculativa, volta alla conoscenza; quella per la vita pratica e attiva; quella per la vita oziosa. Le due ultime tendenze sono espressione di un «furore basso». Al contrario, il desiderio di una vita volta alla contemplazione è l'espressione di un «furore eroico», con il quale l'anima, «rapita sopra l'orizzonte de gli affetti naturali [...] vinta da gli alti pensieri, come morta al corpo, aspira ad alto». L’eroico furore si raggiunge non con atteggiamenti devozionali, con «aprir gli occhi al cielo, alzar alto le mani» ma, al contrario, con il «venir al più intimo di sé .. ». Una ricerca che Bruno assimila a una caccia, non la comune caccia ove il cacciatore ricerca e cattura le prede, ma quella in cui il cacciatore diviene esso stesso preda, come Atteone che, avendo visto la bellezza di Diana, si è fatto preda dei cani, i «pensieri de cose divine», che lo divorano «facendolo morto al volgo, alla moltitudine, sciolto dalli nodi de li perturbati sensi, libero dal carnal carcere della materia, onde più non vegga come per forami e per foreste la sua Diana ma, avendo gittate le muraglie a terra, è tutto occhio a l'aspetto de tutto l'orizonte. Di sorte che tutto vede come uno, non vede più distinzioni e numeri, che [...] fanno vedere e apprendere in confusione. Vede il fonte de tutti numeri, de tutte specie, de tutte ragioni, che è la monade, vera essenza de l'essere de tutti; e se no la vede in sua essenza, in absoluta luce, la vede ne la sua genitura, che gli è simile, che è la sua imagine: perché dalla monade che è la divinitade, procede questa monade che è la natura, l'universo, il mondo».
Bruno, contro il dogmatismo aveva osato rivendicare il diritto di pensare liberamente! Questo il suo “delitto” imperdonabile, che gli costò carcere, tortura, rogo. Alla ignavia intellettuale e morale, Bruno contrappone il coraggio di pensare, il coraggio di verificare quanto si pensa, il coraggio di essere coerenti con le conclusioni del pensiero, trasformandolo in azione: tutte cose imperdonabili. Avversario delle dottrine comuni, non per essere dottrine e per esser comuni, ma perché false. “Dall’academie odiato … Travagliato, perché la moltitudine è contraria a chi si fa fuor di quella; e chi si pone in alto, si fa versaglio (bersaglio) a molti”: aveva scritto nel “De l'infinito, universo e mondi”. Bruno sarà continuamente in fuga dalle vendette dei pedanti, dalla persecuzione della “vorace lupa romana” (così definisce la Chiesa nell’Oratio consolatoria). Nel De monade Bruno scrive: “Pugnavi, multum est, ... Est aliquid prodisse tenus … Non timuisse mori, praelatam mortem animosam imbelli vitae”. (Ho lottato, è già tanto, … È già qualcosa essere arrivati fin qui: non aver avuto paura di morire, aver preferito coraggiosa morte a vita da imbecilli). Bruno si proclama: “risvegliatore delle anime dormienti, domatore dell’ignoranza presuntuosa e recalcitrante, proclamatore di una filantropia universale …; che non prende in considerazione la testa unta, la fronte segnata … ma … la cultura della mente e dell’anima …”
È la ragione umana che Bruno vuole riscattare dall’oppressione della perenne inferiorità, costruita sulla divisione tra un cielo superiore e una terra inferiore. Gli individui, fiduciosi nella ragione, nei sentimenti e nelle possibilità e capacità della loro azione, non più “ciechi”, non più “muti”, non più “zoppi”, non devono più temere. La “Cena delle ceneri” è un coinvolgente invito al coraggio di pensare: luce intellettuale che metta in discussione schemi e rapporti di potere consolidati. La Natura, la Vita è infinita trasformazione nel suo particolare caratterizzarsi fenomenico, perché è Essere Tutto, Unico Infinito nella costanza del suo autonomamente farsi, del suo Infinito divenire biologico e storico. È un’intuizione travolgente perché se nell’infinito niente è più determinato a priori, ogni cosa può essere ridefinita. Nella natura infinita ogni individuo è finalmente libero di progettare se stesso e la sua storia, perché tutti gli esseri umani sono “cooperanti dell’operante natura”, e quindi possono rimettere in discussione apparati ed ideologie. È un fatto inconciliabile con il totalitarismo religioso e con gli ordini economico- politicosociali da esso benedetti. Verrà ucciso, ma vuole con forza che del suo pensiero rimanga traccia. Per questo “preferisce morte ad una vita da imbecilli. Egli non rinuncia, insomma, alla libera ricerca intellettuale, perchè significherebbe divenire uno dei tanti “asini-pedanti” che: “Fermaro i passi, piegaro e dismisero le braccia, chiusero gli occhi, bandiro ogni propria attenzione e studio, riprovaro qualsiasi uman pensiero, riniegaro ogni sentimento naturale, ed infine si tennero asini”. 
PENSIERO LIBERO CONTRO FEDE ASININA Credente nella laicità della ragione, Bruno sa che gli uomini saranno liberi se sapranno sgombrare il campo dai confessionalismi, utili al governo dei popoli “rozzi” e “ignoranti”; se sapranno uscire dallo stadio della “fede asinina”, per esercitare responsabilmente la propria individuale e civile dimensione etica.
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